Nella parte inferiore del castello si apriva una serie intricata di volte, dove non era facile per una persona in preda all'ansia trovare la porta che conduceva al cunicolo. Un silenzio impressionante regnava in quelle regioni sotterranee, a eccezione di qualche corrente d'aria che di tanto in tanto scuoteva le porte davanti alle quali era appena passata, facendole cigolare sui cardini arrugginiti e suscitando ogni sorta di echi nell'oscurità di quell’interminabile labirinto. Ogni fruscio la riempiva di nuovo terrore, ma ancora più grande era la paura di udire la voce irosa di Manfredi che incitava i domestici all’inseguimento. Procedeva a passi felpati per quanto le permetteva l’impazienza, ma si fermava spesso ad ascoltare se era inseguita. Durante una di queste pause le parve di sentire un sospiro. Rabbrividì e fece un balzo indietro. Dopo un attimo le sembrò di udire un passo. Il sangue le si gelò nelle vene: doveva trattarsi di Manfredi. Tutte le immagini che l’orrore può ispirare le sfilarono rapidamente davanti. Si rimproverò per la sua fuga precipitosa, che l’aveva ora esposta all'ira del principe in un luogo dove probabilmente le sue grida non avrebbero richiamato l’attenzione di nessuno. Eppure quel suono non sembrava provenire dalle sue spalle - se Manfredi sapeva dove cercarla, l'aveva certo seguita. Ma lei era ancora in uno dei corridoi e il rumore di passi che aveva appena udito era troppo distinto per venire da lontano. Un poco sollevata da queste riflessioni e sperando di trovare un amico in chiunque non fosse il principe, stava per riprendere il cammino, quando una porta appena accostata un poco più avanti sulla sinistra cominciò a schiudersi lentamente. Ma prima che la sua lampada, sollevata in alto, le mostrasse l'essere che l'aveva aperta, questi, vedendo la luce, si tirò precipitosamente indietro.
Isabella, che ogni minimo incidente bastava a riempire di terrore, esitò non sapendo se continuare. Ma lo sgomento che Manfredi le ispirava supero presto ogni altro timore. Il fatto stesso che l'ignoto cercasse di evitarla le ridiede un po’ di coraggio. Non poteva trattarsi, pensò, che di qualche domestico appartenente al castello. La sua gentilezza d’animo non le aveva mai procurato nemici, e inoltre la consapevolezza della propria innocenza le faceva sperare che i servitori di Manfredi, invece di ostacolarla, l'avrebbero aiutata nella fuga, a meno che non fossero espressamente mandati dal principe a cercarla. Facendosi forza con queste riflessioni e calcolando, per quel che poteva vedere, di essere ormai vicina all'entrata del cunicolo, si avvicinò alla porta rimasta aperta. Ma un improvviso soffio di vento la investì sulla soglia e spense la lampada, lasciandola nella più completa oscurità.
Il Castello di Otranto di Horace Walpole
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