Il Castello di Otranto

I domestici non notarono la stranezza di quest'ordine, ma, guidati dal loro affetto, pensarono che si riferisse alla loro padrona e corsero subito in suo aiuto. La trasportarono nella sua camera più morta che viva, insensibile al racconto di tutte quelle strane circostanze, eccetto che per la morte del figlio. Matilda, che adorava la madre, frenò il proprio dolore e la propria meraviglia e non pensò ad altro che ad assistere e confortare l'afflitta. Isabella, che era stata trattata da Ippolita come una figlia e che l’aveva corrisposta con altrettanto affettuoso rispetto, non fu meno assidua, tentando nello stesso tempo di alleviare il dolore soffocato di Matilda, per cui aveva concepito una calda e sincera amicizia. Pure non riusciva a non riandare col pensiero alla propria situazione. Per la morte del giovane Corrado non sentiva che pietà. E non le dispiaceva di sottrarsi a un matrimonio che sembrava prometterle poca felicità sia da parte dello sposo destinatole sia a causa della severità del carattere di Manfredi il quale, pur avendole mostrato molta indulgenza, le ispirava un gran terrore per l'inspiegabile durezza con cui trattava amabili principesse come Ippolita e Matilda.
Mentre le giovani mettevano a letto la povera madre, Manfredi era rimasto in cortile a fissare l’elmo minaccioso, senza curarsi della folla che la stranezza dell'avvenimento gli aveva radunato intorno. Le poche parole che pronunciò erano tese solo a scoprire da dove venisse. Ma nessuno seppe dargli la benché minima informazione. In ogni modo, poiché l'elmo sembrava essere il solo polo della sua attenzione, lo divenne anche per gli astanti, che si misero a fare ipotesi assurde e improbabili non meno di quella catastrofe senza precedenti. Nel bel mezzo delle loro congetture senza senso, un giovane, che le voci dell’accaduto avevano attirato fin qui da un villaggio vicino, osservò a voce alta che l’elmo miracoloso era perfettamente eguale a quello della statua in marmo nero del loro antico principe, Alfonso il Buono, che si trovava nella chiesa di San Nicola. “Furfante! Cosa dici?” gridò Manfredi in un accesso di rabbia, uscendo dalle sue fantasticherie e afferrando il giovane per il collo. “Come osi affermare una tale infamia? La pagherai con la vita!” Gli spettatori, che non capivano la causa di tanta furia più di quanto avessero capito quello che era accaduto fin qui, non sapevano come spiegarsi questa nuova circostanza. Il giovane contadino ne restò ancora più sorpreso, non riuscendo a capacitarsi come avesse potuto offendere il principe. Ma riavutosi, con un misto di grazia e di umiltà si liberò dalla stretta di Manfredi e, con un inchino che rivelava più l'innocenza offesa che lo spavento, domandò in tono rispettoso cosa avesse fatto per dispiacergli. Manfredi, furibondo per la fermezza, sia pure piena di cortesia, con cui il giovane gli si era sottratto e per nulla placato dal suo atteggiamento sottomesso, ordinò ai suoi di tenerlo fermo e, se non fosse stato trattenuto dagli amici che aveva invitato alle nozze, lo avrebbe pugnalato lì per lì.

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Il Castello di Otranto di Horace Walpole

Horace Walpole

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