Il Castello di Otranto
La giovane, la cui risoluzione si era trasformata in terrore nel momento stesso in cui aveva lasciato Manfredi, aveva continuato la sua fuga fino in fondo allo scalone principale. Qui si fermò, non sapendo che direzione prendere o come sfuggire alla foga del principe. Sapeva che le porte del castello erano chiuse a chiave e che il cortile era sorvegliato dalle guardie. Se fosse andata, come il cuore le suggeriva, ad avvertire Ippolita del crudele destino che le si preparava, non aveva dubbi che Manfredi sarebbe venuto a cercarla fin là e che la sua violenza avrebbe reso ancora più grave l'ingiuria che meditava, senza dar loro modo di sottrarsi alla furia delle sue passioni. Se fosse riuscita almeno per quella notte a evitare il suo ignobile proposito, l'indugio gli avrebbe forse lasciato il tempo di riflettere sulle orrende misure che intendeva prendere, almeno far scaturire circostanze a lei favorevoli. Ma dove nascondersi? Come sfuggire all’inseguimento che egli avrebbe inevitabilmente scatenato per tutto il castello? Mentre questi pensieri le passavano rapidamente per la testa, si ricordò di un passaggio che portava dai sotterranei del castello alla chiesa di San Nicola. Se avesse potuto raggiungere l’altare prima di essere sorpresa, sapeva che perfino la violenza di Manfredi non avrebbe osato violare quel luogo sacro.
E decise che, se non le si fossero offerti altri mezzi di salvezza, si sarebbe rinchiusa per sempre tra le sante vergini del convento attiguo alla cattedrale. Con questo proposito afferrò la lampada che ardeva ai piedi della scalinata e si affrettò verso il passaggio segreto.
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